Note sulla formazione in psicoterapia e psicoanalisi nell’età evolutiva
di Giuseppe Palladino
Premessa
Un bambino piccolo tocca la tastiera di un computer, ma potrebbe essere anche lo schermo di un tablet o di uno smartphone; a un altro bambino hanno dato una pistola, un altro ancora cammina tra una moltitudine di sconosciuti, è rimasto solo; un ragazzo attende che lo visitino in un pronto soccorso ospedaliero, è andato a sbattere col motorino contro un muro - aveva i riflessi intorpiditi dall’alcool bevuto alla festa alla quale aveva partecipato -, un altro ragazzo passa tutto il suo tempo al computer chiuso nella sua stanza.
C’è una frase detta da un bambino nel film di Valter Veltroni “I bambini sanno”, che dice: “in questa società siamo tutti che non capiamo nessuno, ci conosciamo solo su facebook.” Ad un altro viene chiesto: “qual è la cosa più bella che potrebbe accadere?” e questi, dopo una pausa di riflessione, risponde: “che Dio ci salvi”.(nota 1)
Gli esempi relativi alla condizione infantile ed adolescenziale, nelle diverse parti del mondo, possono essere innumerevoli. A noi professionisti il compito di comprendere cosa sta avvenendo nello sviluppo e nella vita delle nuove generazioni. E di prendercene cura, per quanto attiene alla nostra parte.
Il Prof. Giuseppe Tortora, nella sua relazione al Convegno di Studi «Lo stato della filosofia nella attuale situazione storica», svoltosi a Napoli il 26 gennaio 2013 (nota 2), ha scritto:
“Abbiamo difficoltà a capire che cosa stia veramente succedendo. Sono molti gli ostacoli, e non parlo di quelli immediatamente percepibili, ma soprattutto di quelli che abbiamo ereditato con la nostra formazione.
Vincoli invisibili, e talvolta inconsapevoli, che portiamo ben celati dentro di noi, e da cui non è facile liberarsi…con l'inarrestabile e irreversibile espandersi, in ogni dominio, delle tecnologie digitali, temo che quel che vedremo in un futuro più o meno prossimo ci trovi spettatori increduli e perplessi.
Certo, siamo ancora agli inizi. Ma… non possiamo sottrarci alle nostre responsabilità, insieme etiche e culturali, in merito alla direzione che questa evoluzione prenderà... Dobbiamo sforzarci di cogliere appieno ciò che sta accadendo: per consentire anche ad altri un approccio a queste trasformazioni. Un approccio che sia critico, sí, ma libero dagli incubi e dai timori che l'ignoranza o la disinformazione inevitabilmente alimentano.”
Per quanto riguarda le responsabilità connesse alla formazione, dal mio personale punto di vista, direi:
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è ineludibile fondare su un modello scientifico, teorico, professionale e didattico consolidato;
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è indispensabile testare regolarmente la sua capacità di adeguamento ai cambiamenti che intervengono nei contesti in cui si opera;
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è fondamentale guardare alla storia, al presente e al futuro con spirito critico, ciò può favorire occasioni di confronto e scambio utili ad ampliare (e modificare) i propri ed altrui punti di vista
Con questi pensieri desidero iniziare la mia relazione odierna finalizzata a presentare il Modello Tavistock di formazione alla psicoterapia psicoanalitica per l’infanzia, l’adolescenza e la famiglia a cui si ispira la Scuola di Specializzazione dell’AIPPI.
La Tavistock (nota 3)
In Italia il termine Tavistock è abbastanza noto tra i professionisti del settore. Tavistock Square è il nome della piazza di Londra dove ebbe sede inizialmente questa istituzione. Suo fondatore è stato un neurologo, Hugh Crichton Miller, il quale durante la Prima Guerra Mondiale avviò la sperimentazione di metodi psicoterapeutici per la cura di bambini e di soldati traumatizzati e sofferenti di disturbi nevrotici. Il lavoro era svolto in gran parte su base volontaria perché lo scopo primario era quello di offrire terapia a persone che non avrebbero potuto permetterselo. In seguito, grazie all’aiuto di alcune donazioni, H.C.M. fondò l’Istituto Tavistock di Psicologia Medica.
La visione dell’assistenza dell’Istituto si caratterizzò fin dagli inizi per la de-medicalizzazione dell’assistenza: non vi erano letti, strumentazioni mediche, camici. La filosofia di fondo era che favorire il benessere psichico della popolazione avrebbe arrecato vantaggi a tutta la società; per questo motivo le attività non si limitavano all’assistenza e venivano affiancate da attività di prevenzione, ricerca e sperimentazione. “No work without research, no research without work” era il motto dell’Istituto Tavistock.
Un’altra importante caratteristica dell’Istituto fu quella di promuovere la collaborazione con altre istituzioni e di prevedere fin dall’inizio la formazione degli operatori: terapeuti, educatori, insegnanti, consulenti di coppia, medici di famiglia e assistenti sociali.
Il primo paziente della clinica fu un bambino e va sottolineato a questo proposito che il Tavistock anticipò di qualche anno il servizio sanitario pubblico che con l’istituzione delle Child Guidance Clinic avviò l’assistenza ai minori in difficoltà (1925)(nota 4)
Le attività cliniche si ispiravano alle teorie psicoanalitiche ed al lavoro multidisciplinare tramite l’impiego di operatori di diverse professioni: psicoanalisti, assistenti sociali e psicologi.
Durante la Seconda Guerra Mondiale J.R. Rees, succeduto alla direzione della Tavistock a H.C. Miller, divenne capo dei servizi psichiatrici dell’esercito. Il lavoro in ambito militare promosse lo sviluppo di un interesse per la psicologia sociale e le dinamiche di gruppo. In rapporto con queste evoluzioni, dopo la Seconda Guerra Mondiale il Tavistock è stato diviso in due tronconi:
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la Tavistock Clinic, che si occupa di psicoterapia e di formazione di psicoterapeuti, in particolare nel campo dell’infanzia e dell’adolescenza, della coppia; inoltre si occupa di problemi educativi
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il Tavistock Institute of Human Relations, che si occupa della dinamica delle istituzioni sociali e delle relazioni umane all’interno delle organizzazioni.
Nel 1948 la Tavistock Clinic è entrata a far parte del Servizio Sanitario Inglese. In tale ambito, oltre ad erogare servizi clinici, la Tavistock prosegue le sue attività di ricerca e di didattica. Quest’ultima si articola in due settori principali: uno relativo alla formazione professionale di specialisti, fra cui gli psicoterapeuti dell’infanzia, l’altro che si esplica in numerosi seminari e corsi di aggiornamento, molti dei quali destinati agli operatori di base.
L’Istituto Tavistock per le Relazioni Umane è invece rimasto indipendente.
Nel 1982 fu istituita la “The Tavistock Clinic Foundation” per favorire un maggiore supporto alle attività della Clinica ai fini di un miglioramento dell’assistenza e della prevenzione nell’area della salute mentale.
Nel 1994 la Tavistock Clinic e la Portman Clinic unirono le proprie forze per diventare The Tavistock and Portman NHS Trust.
Nel corso degli anni i rapporti della Tavistock con la psicoanalisi sono sempre stati stretti; importanti psicoanalisti come Balint, Bion , Bowlby, Glover, Harris, Jaques, Meltzer, Menzies, Rickman, Sutherland hanno lavorato per questa istituzione. Al tempo stesso essa non ha mai abbandonato la filosofia multidisciplinare delle origini. Come pure è rimasto inalterato lo spirito di ricerca che pure ha caratterizzato la sua fondazione.
Prima di procedere, ritengo utile sottolineare che il principale apporto teorico a cui si sono ispirati alcuni dei più influenti esponenti della Tavistock, come Bion, Bick, Harris, Jaques, Meltzer, Menzies, deriva dalla psicoanalisi infantile di Melanie Klein.
Vorrei farvi comprendere appieno l’importanza di questa caposcuola per gli sviluppi professionali e scientifici che il suo lavoro clinico e teorico ha promosso. Mi limito qui ad anticiparvi la scoperta del meccanismo dell’identificazione proiettiva e la scoperta ad esso collegata che la mente umana, costruendosi fin dall’inizio in relazione dialettica col mondo, dà luogo ad un mondo mentale popolato da oggetti interni in diretta e reciproca interazione con oggetti esterni.
Tali contributi teorici sono risultati particolarmente utili per una comprensione della comunicazione inconscia interindividuale, e per la comprensione delle dinamiche inconsce gruppali ed istituzionali.
Wilfred Bion, che è stato un allievo di Melanie Klein, nel suo libro "Esperienze nei gruppi" (nota 5) ha scritto: «Questa autrice ha dimostrato che fin dall'inizio della vita l'individuo è a contatto con il seno e, grazie a un rapido estendersi di questa consapevolezza primordiale, con il gruppo familiare … Spero di dimostrare che, trovandosi a contatto con la complessità dei problemi di vita del gruppo, l'adulto, come per una massiccia regressione, torna ad usare quei meccanismi che secondo Melanie Klein (1921,1946) sono tipici delle prime fasi della vita mentale. L'adulto che si trova costretto ad entrare in rapporto con la vita emotiva del gruppo in cui vive deve affrontare un compito problematico quasi quanto il rapporto che ha il bambino col seno... la regressione implica per l'individuo la perdita della sua "individualità" (Freud, 1921, p.9); questo fenomeno, indistinguibile dalla depersonalizzazione, è quindi di ostacolo alla possibilità di considerare questo aggregato come composto da individui».
L’approccio teorico che informa la Scuola di Specializzazione dell’AIPPI ha dunque le sue radici nella psicoanalisi kleiniana, analogamente a tutti i Corsi di Specializzazione in Psicoterapia Psicoanalitica Infantile Modello Tavistock nel mondo.
L’istituzione formale del primo Corso alla Tavistock Clinic di Specializzazione in Psicoterapia Psicoanalitica Infantile avvenne nel 1948. La sua direzione fu affidata a Esther Bick, colei a cui si deve la formulazione del metodo dell’osservazione psicoanalitica, che costituisce il nucleo centrale della nostra formazione.
Nel 1960 Martha Harris, in seguito docente anche ai Corsi Tavistock in Italia, subentrò ad E. Bick nella direzione dei Corsi di Specializzazione.
Le origini in Italia
Non vantiamo in Italia una tradizione di Servizio-Formazione-Ricerca come in Inghilterra. Il corrispettivo italiano alle Child Guidance Clinic, come servizio pubblico dedicato all’età evolutiva, può essere considerato il Centro Medico-Psico-Pedagogico, che fu fondato a Roma nel 1948 da Giovanni Bollea e Adriano Ossicini (nota 6). Questo Servizio, poi diffuso in altre regioni d’Italia, era formato da medici, psichiatri, psicologi e assistenti sociali. Esso pure adottava un approccio multidisciplinare per la costruzione del processo diagnostico sotto forma di diagnosi pluridimensionale ma la sua Mission si limitava all’espletamento della funzione di Servizio.
L’avvio dei Corsi Tavistock nel nostro paese avvenne a metà degli anni ’70.
In quel periodo, sull’onda delle trasformazioni sociali, politiche e culturali degli anni immediatamente precedenti, veniva emanata la Legge di Riforma Sanitaria, nascevano i Consultori Familiari, si decretava la fine dei manicomi, si istituivano i servizi per le tossicodipendenze, tutti settori, questi ultimi, in cui si prevedeva l’inserimento di psicologi. Sul piano legislativo ed istituzionale cominciava infatti ad affermarsi una concezione della Salute che, in accordo con la definizione dell’OMS del 1948, non veniva più riferita alla semplice assenza di malattia ma guardava al benessere della persona, sia da un punto di vista fisico che da un punto di vista psichico. In conformità con questi nuovi orientamenti, agli inizi degli anni ‘70 erano stati istituiti i primi Corsi di Laurea in Psicologia, a Padova e a Roma.
Nel nostro paese in quel periodo, come riporta Maurizio Pontecorvo: “... ogni discorso psicoanalitico sulla terapia infantile, malgrado la diffusione a livello teorico delle teorie kleiniane, era circoscritto a una ristretta cerchia di analisti, né la figura di psicoterapeuta infantile poteva aspirare ad un ruolo ufficialmente riconosciuto. Operavano in Italia solo singoli valenti analisti che si erano formati all’estero, soprattutto a Londra, perché non esisteva nessun corso di formazione con un curriculum serio e sperimentato che garantisse un livello qualificato di professionalità.” (nota 7)
Continuando questa breve rassegna storica, è utile ricordare che circa 20 anni dopo veniva emanata la legge istitutiva della professione di psicologo e dell’Ordine, che comprendeva al suo interno anche la regolamentazione per l’esercizio della professione di psicoterapeuta.
I nuovi laureati erano stati immessi sul mercato del lavoro in servizi che stavano sorgendo allora e che pertanto non si basavano su modelli culturali e organizzativi consolidati. Trattandosi di servizi sanitari, gli psicologi entrarono in contatto ed in rapporti di lavoro con altri professionisti, in primo luogo medici: molto spesso in istituzioni ad indirizzo prettamente medico. Cominciò così la fase della scoperta delle domande dell’utenza, nonché delle aspettative di ruolo degli altri operatori impiegati nei servizi, non solo sanitari ma anche sociali, scolastici, giudiziari…
Fronteggiare in modo competente quelle domande e quelle aspettative richiedeva (così come richiede tutt’ora ai colleghi che iniziano la professione) il possesso di un’identità professionale sufficientemente consolidata e distinta. In rapporto a tale esigenza, la sola preparazione conseguita durante il Corso di Laurea, normalmente limitata all’apprendimento teorico, era destinata a rivelarsi nella grande maggioranza dei casi inadeguata.
E’ in questo contesto che Gianna Polacco Williams (una collega italiana che si era formata alla Tavistock e che là dirigeva il Laboratorio di Psicoterapia Individuale del Dipartimento Adolescenti) giunse a Roma per tenere una serie di seminari alla Cattedra di NPI dell’Università La Sapienza, allora diretta da Giovanni Bollea.
Le eccezionali capacità della Dott.ssa Polacco Williams, che riassumeva in sé il clinico raffinato, il docente appassionato e l’organizzatore instancabile si coniugarono con l’esigenza italiana, a cui prima ho fatto cenno, di migliorare l’assistenza psicologica e psicoterapeutica nella fascia dell’età evolutiva. Questo favorì l’implementazione di quei rapporti istituzionali da cui scaturì l’organizzazione, a Roma, del primo Corso Osservativo, biennale, a cui fece seguito il successivo Corso Clinico di Specializzazione, quadriennale, in modo conforme ai Corsi della Tavistock a Londra. Ciò avvenne nel 1976, sotto gli auspici della II Cattedra di Pedagogia della Facoltà di Magistero dell’Università La Sapienza.
I docenti dei Corsi erano tutti di altissimo livello. Oltre la Dott.ssa Polacco Williams, di cui ho già detto, svolsero docenze Donald Meltzer, psicoanalista di fama internazionale, Martha Harris, Beta Copley, già Direttore del Laboratorio di Psicoterapia Familiare e di Gruppo del Dipartimento Adolescenti, Margareth Rustin ed altri ancora.
Gli allievi del primo Corso Clinico alla sua conclusione, nel 1982, fondarono l’AIPPI (Associazione Italiana di Psicoterapia Psicoanalitica dell'Infanzia, dell’Adolescenza e della Famiglia). Nel 1993 la Scuola di Specializzazione dell’AIPPI veniva riconosciuta ed autorizzata tra le prime in Italia, la prima per l’età evolutiva, dal MUSRT (Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica).
Nel 1997 si svolse a Napoli la III Conferenza internazionale dei professionisti formati secondo il Modello Tavistock. Nello stesso anno fu fondata la sezione napoletana dell’associazione AIPPI.
Successivamente, prima a Milano, nel 2008, poi a Napoli, nel 2010, furono istituite le sedi periferiche della Scuola di Specializzazione dell’AIPPI che completarono il suo dispiegamento sul territorio nazionale in base alle normative vigenti.
Cosa occorre per lavorare
Prima di passare a descrivere l’organizzazione dei Corsi Modello Tavistock dell’AIPPI, propongo alla vostra attenzione un’email pervenuta di recente all'indirizzo di posta elettronica della Scuola di Specializzaiozne AIPPI:
"Salve, ho 40 anni e sono uno studente lavoratore iscritto alla facoltà di Psicologia in procinto di concludere il corso Magistrale.
Sto cominciando a guardarmi intorno per capire se e a quale corso di Psicoterapia approdare … La mia occupazione stabile è di Infermiere presso il 118; credevo di volermi spendere nel campo della Psicologia della salute, mi piace la Psicologia cognitivo-comportamentale come studio e controllo del comportamento, ma anche la Psicodinamica fa parte dei gioielli che curo con particolare attenzione. Navigando in rete ho trovato il vostro sito. Chiedo, cortesemente, di aiutarmi a capire come funziona il Corso di Specializzazione da voi tenuto: mi sarebbe di grande aiuto nelle mie future scelte professionali e formative.
Grazie molte."
Credo che una analisi di questa lettera possa essere molto utile in questa sede.
Come si è visto, l’ha scritta un operatore sanitario che lavora per un Servizio, il 118, dove ogni giorno ci si confronta con la morte, corpi feriti, straziati, il dolore fisico, l’angoscia, il sangue, la necessità di soccorrere in tempi rapidi, correndo contro il tempo.
Un lavoro certamente usurante, richiedente elevate capacità tecniche, relazionali e di gestione dei propri sentimenti ed emozioni.
A mio avviso, un possibile candidato per un Corso biennale di osservazione Modello Tavistock. Questo tipo di formazione prevede infatti un’intensa esperienza di apprendimento che può realizzarsi in un setting appositamente studiato per favorire una accurata riflessione su se stessi e parallelamente giovarsi dell’apporto del gruppo di discussione sulle situazioni di lavoro.
Il partecipante a questa formazione è chiamato a svolgere dunque un doppio compito, introspettivo prima e relazionale poi, che gli consente di ampliare notevolmente la conoscenza di sé in situazione di lavoro, di incrementare la capacità di osservare il soggetto – in questo caso la persona ferita o malata -, di apprendere infine dagli apporti dei partecipanti al gruppo che gli rimandano, attraverso il gioco di identificazioni che si attivano contestualmente alla descrizione del caso, nuovi aspetti dell’esperienza vissuta.
La formazione che si consegue in questo tipo di Corso si avvale anche di apporti teorici psicoanalitici, ma questi vengono proposti in stretto collegamento all’analisi delle situazioni di lavoro e del loro impatto sull’individuo.
Desidero anche sottolineare che questa formazione ha in comune con quella proposta per la specializzazione in psicoterapia psicoanalitica l’osservazione del neonato, dalla nascita ai due anni.
Non parlerò dei seminari osservativi, mi limito ad accennare ai motivi per i quali si ritiene il metodo dell’osservazione psicoanalitica necessario anche per questo tipo di Corso.
In ogni professione in cui le relazioni umane siano poste al centro dell’attività lavorativa si realizzano degli scambi emotivi e affettivi le cui origini sono rintracciabili nelle prime relazioni, quelle su cui si sviluppa successivamente la vita psichica.
L’insegnante, il giudice, l’avvocato, il chirurgo, l’infermiere, lo psicologo, l’assistente sociale e l’elenco potrebbe continuare, ognuno di noi, in definitiva, porta in sé, pure se ormai adulto, il bambino che è stato. Nella relazione con l’altro ognuno fa ogni volta sì un’esperienza nuova, ma contemporaneamente questa esperienza ha in sé dei caratteri di esperienze già vissute. Nella relazione di lavoro ci si può trovare a svolgere un ruolo in cui l’altro dipende da noi così come noi, da piccoli, abbiamo dipeso da altri. Possiamo sentirci potenti: mi viene in mente la famosa canzone di Fabrizio De Andrè dove canta di una persona di bassa statura, un nano, che, diventato giudice, si sente un Dio che può decidere della vita altrui ed in questo modo far provare ad altri le frustrazioni che ha provato prima di assurgere a quel ruolo; un’altra possibilità è che possiamo sentirci spaventati dalle responsabilità che siamo chiamati ad esercitare.
In ogni caso, ci identifichiamo inconsciamente con l’altro e i nostri comportamenti, di conseguenza, ne possono venire fortemente influenzati. Ricordo, in proposito, la grande impressione che mi ha fatto una volta un’immagine vista per strada su un grande cartellone pubblicitario. Il volto in primo piano di un soldato, un volto sporco di fango da cui emergevano degli occhi chiari e penetranti. Sotto c’era scritto: “Ho guardato negli occhi il mio nemico e ho visto me stesso”.
Ritengo che questa frase possa essere vista come la descrizione di una scoperta, la scoperta della propria identificazione con l’altro. Il confine che ci separa dall’altro può riferirsi a diversi gradi di separazione. Ad un certo livello dell’esperienza l’altro può essere visto come simile a sé, ma su un fronte diverso. L’esempio ci porta dritti alla questione della scelta: sparare o tendere la mano.
Mi rendo conto che l’esempio può essere estremo, ma forse proprio per questo può rendere più semplice la comprensione del conflitto che può avere luogo fra il proprio sentire e il proprio interpretare un ruolo e, con questo, il proprio far parte di un’istituzione.
Torniamo all’infermiere: cosa fa quando si china sulla persona ferita? La guarda negli occhi? La tratta come un corpo ai cui parametri vitali è interessato?
Mi chiedo quanto possa essere stressante un lavoro in cui ogni giorno si abbia nelle proprie mani la vita di una o più persone.
E se quegli individui, tornando a casa, gli ricordano suo padre, sua madre? O un’altra persona a cui si vuole bene?
Ho svolto anni fa un trattamento psicoterapeutico con un infermiere che lavorava in un reparto di terapia intensiva neonatale. La morte recente di una zia che l’aveva cresciuto lo aveva precipitato in una crisi lavorativa collegabile alle associazioni inconsce che faceva fra sé bambino, i bambini in continuo pericolo di morte che vedeva al lavoro, la morte della zia che l’aveva accudito quand’era bambino lui stesso. L’infermiere provava un’ansia generalizzata che non collegava al suo lavoro, ma questo gli stava diventando impossibile. Se avesse potuto sbarazzarsi del sintomo avrebbe potuto riprendere come prima la sua vita, ma questa gli aveva posto di fronte un problema che doveva affrontare: elaborare il lutto.
Questo esempio consente di accennare ad uno dei principali compiti della mente umana, secondo l’ottica psicoanalitica.
Con parole semplici, è possibile dire che possiamo suddividere le nostre esperienze in piacevoli o dolorose; altrettanto semplicemente possiamo aggiungere che tendiamo istintivamente a sfuggire il dolore e a ricercare il piacere.
Ma il rapporto con la realtà, la necessità di farvi fronte, richiede che ognuno di noi cresca dal punto di vista psichico ed affronti pertanto le prove che fin dall’inizio la vita pone. Già nei primi mesi di vita, ad esempio con il passaggio dall’allattamento all’alimentazione con i cibi solidi, il bambino deve affrontare l’esperienza della perdita del rapporto con il seno, con tutto il corredo di sensazioni e di significati che ciò ha per lui.
Fuggire il dolore è del tutto comprensibile ma può essere anti-crescita; viceversa, affrontare il dolore può incrementare le capacità dell’individuo. Ciò è di comune osservazione.
Desidero ora riprendere nuovamente l’analisi della lettera dell’infermiere per farvi notare l’incertezza che egli esprime a proposito della scelta della formazione specialistica. Egli nomina due possibili indirizzi cui rivolgere la propria domanda di specializzazione. Al primo degli indirizzi – la psicoterapia cognitivo comportamentale – attribuisce il possibile controllo del comportamento mentre l’altro approccio – quello psicodinamico – sarebbe per lui uno dei “gioielli” che cura con “particolare attenzione”.
La scelta per questa persona, per come vede le cose, sarebbe allora tra l’opzione pratica, “il controllo”, e l’opzione estetica, la comprensione psicodinamica. Se dovessi esprimere un parere, direi che il suo interesse prevalente sembra essere quello della risoluzione del sintomo mentre la comprensione delle sue ragioni profonde potrebbe apparire interessante come un gioiello, ma che potrebbe non risolvere i problemi della vita..
In effetti, scegliere la propria formazione professionale è una decisione che richiede chiarezza sulle proprie motivazioni, anche quelle profonde, perché ad ogni indirizzo corrispondono oltre che una rappresentazione della vita mentale anche l’abbracciare dei valori e una concezione del mondo.
James Hillman, un famoso analista junghiano, ha affermato che diventare terapeuti è una necessità personale e che in primo luogo si ha bisogno di curare se stessi. Io condivido questa posizione e aggiungo che questo processo di cura richiede il sottoporsi ad una psicoanalisi personale. Sottolineo che questa è una delle condizioni richieste per accedere al nostro training formativo.
La prof.ssa Maria Peluso, una delle fondatrici dell’AIPPI, amava dire “non si può fare il calzolaio con le scarpe rotte”, riferendosi in tal modo alla necessità che chiunque voglia svolgere la professione di psicoterapeuta debba necessariamente lavorare sulla propria equazione personale.
Avviarsi ad intraprendere questa professione richiede quindi umiltà e consapevolezza dei propri limiti: questo atteggiamento consentirà di avvicinarsi con delicatezza e rispetto ai problemi dei pazienti e delle persone che si rivolgeranno a noi come psicoterapeuti.
Ho intitolato questo paragrafo “Cosa occorre per lavorare” avendo in mente una qualità particolare, quella di avere la curiosità e la capacità di saper guardare oltre l’apparenza.
Di questi temi si è occupata la filosofia, di cui ricordo l’origine etimologica come desiderio di sapere. Credo utile citare alcuni brani di un’intervista al Prof. Francesco Adorno, storico della Filosofia (nota 8)
“...Il termine filosofia,... nacque, …, in Grecia, e venne usato per la prima volta dagli storici, che facevano appunto "storia", o "istoria" , termine che in greco vuol dire letteralmente "le cose viste". Dunque, il ragionamento sulle cose viste e il rendersi conto di cosa esse fossero, rappresentava il "desiderio di sapere" perché e come tali cose erano avvenute. La filosofia, all'origine, non aveva pertanto nessun contenuto; era l'esigenza di rendersi conto, di non accettare supinamente nulla, e di conoscere le condizioni che permettevano i vari tipi di sapere.”
Sottolineo “l'esigenza di rendersi conto, di non accettare supinamente nulla, e di conoscere le condizioni che permettevano i vari tipi di sapere” perché a mio avviso questa esigenza corrisponde ai principi base del metodo dell’osservazione.
Continuo la citazione:
“Da qui prese origine la scienza; ma la filosofia non è la scienza, bensì è il desiderio di sapere come nasce la scienza stessa... Platone usa un'espressione splendida per indicare la filosofia: egli dice che la filosofia è la figlia della meraviglia; essa è la curiosità, è il non accettare le cose come sono e il tentare di rendersi conto di tutto; è il gioco del "perché?", del "cos'è?" dello "a che serve?", e quindi, in questo senso, è il metodo comune a tutte le scienze.”
Va detto a questo punto che un problema particolare si pone per chi si occupi di psicologia o di psicoanalisi poiché, a differenza del campo medico (nel quale si lavora preminentemente sul corpo), nel campo psicologico-psicoanalitico si lavora su qualcosa di immateriale, che proprio in quanto tale necessita di essere svelato. Anche in questo caso può risultare utile un riferimento al pensiero greco per il quale ciò che è vero non è immediatamente dato ma va scoperto. Il termine Alètheia con cui si intendeva la verità viene da “lanthano” che vuol dire “coprire”; Alètheia, con l’alfa privativo, è il contrario di ciò che si copre: “è ciò che si scopre nel giudizio”.
Maria Peluso, in “Prospettive sull’Osservazione”, ha scritto che l’osservazione psicoanalitica ha come oggetto privilegiato l’oggetto “occultato”, da cui fa discendere la seguente affermazione: “l’oggetto di ricerca è ciò che non è osservato” (nota 9)
Proseguendo la lettura del testo si potrà scoprire l’analogia con la concezione “alétehica”, infatti: “... la comprensione, che l’osservatore si propone espressamente di raggiungere, riguarda non già il comportamento o le qualità esterne della persona o delle persone osservate in una data situazione, ma il loro stato mentale e le dinamiche interne che si svolgono nel “campo” costituito dall’oggetto o dagli oggetti osservati e dell’osservatore stesso, il quale può realizzare il suo compito solo riflettendo anche sui sentimenti che egli prova, apprendendo così dalla sua stessa contestuale esperienza emotiva”
La concezione greca della verità è interessante, da un punto di vista psicologico, anche se la si confronta con la parola usata dai latini “veritas”.
“veritas è un termine che proviene dalla zona balcanica e dalla zona slava, e vuol dire tutt'altro che verità. Vuol dire, in origine, "fede"; fede nel significato più ampio della parola, tant'è vero che in russo ad esempio vara vuol dire fede. Tutti noi sappiamo benissimo che l'anello della fede si chiama anche la vera, proprio perché questa origine balcanica, slava è penetrata fino da noi: la vera è la fede.” (nota 10)
A questo punto possiamo chiederci quali verità incontriamo nel lavoro psicoterapeutico e quali siano le dimensioni psichiche relative all’approccio scientifico o a quello fideistico a cui esse possono essere collegate.
Un altro fattore da tenere presente, a mio avviso, per una comprensione delle caratteristiche e delle qualità che si richiedono a chi voglia intraprendere una specializzazione in psicoterapia, è la capacità negativa.(nota 11)
Bion ha usato questa espressione per descrivere la capacità di tollerare l’incertezza di non sapere in connessione alla capacità di non precipitarsi a conclusioni premature per l’angoscia e la frustrazione di non conoscere la risposta a un problema. Un esempio può essere quella condizione di intensa inquietudine che può spingerci a cercare una soluzione qualsiasi ad un problema, magari anche scaricandolo su qualcun altro.
Mi piace ricordare una frase di una canzone di Joe Barbieri (“Pura ambra”) che dice: ” Di che certezze parli, di quali chiare sicurezze vivi… gioco con un filo di una giacca e all’improvviso tutto si rivela, tutto parla”.
Quando si è atteso a lungo nell’incertezza ad un certo punto il significato può trovare la sua strada dentro di noi ed emergere insieme ad una grande sensazione di sollievo.
L’avere improvvisamente “capito” credo possa corrispondere all’esito del dialogo interiore, in linguaggio kleiniano direi “fra oggetti interni”, che sfocia in qualcosa di simile all’esperienza di reverie, di capire e sentirsi capiti.
Questo tipo di esperienza, favorente la crescita ed il benessere psichico, è quella che può realizzarsi nell’ambito della comunicazione primaria fra madre e bambino, a partire dalla nascita.
La psicoterapia psicoanalitica, attraverso la creazione e la cura del setting, nonchè la personalità del professionista, si propone di fornire al paziente le condizioni idonee al trattamento. L’analista adotterà le modalità tecniche apprese nel corso della formazione, che nel caso del bambino comprendono l’uso del disegno e del gioco.
Descrizione dei Corsi
Desidero ora fornire brevemente alcune notizie relative al Corso di Specializzazione in Psicoterapia Psicoanalitica dell'Infanzia, dell’Adolescenza e della Famiglia.
Il Corso ha durata quadriennale e prevede lo svolgimento di seminari in piccolo gruppo condotti da un docente per ogni insegnamento.
I seminari sono:
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Infant Observation – osservazione settimanale di un bambino dalla nascita ai due anni
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Young Child Observation – osservazione settimanale per un anno di un bambino che abbia un’età compresa tra i tre e i cinque anni
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Seminari clinici – suddivisi in due bienni
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Seminari di Teoria psicoanalitica – insegnamento quadriennale
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Seminari di Teorie dello Sviluppo Psicologico – insegnamento biennale
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Insegnamenti complementari di Psicoterapia Cognitivo-Comportamentale; Psicoterapia Sistemico- Relazionale; Psicologia Generale (come da normativa)
Gli allievi sono tenuti a svolgere un tirocinio istituzionale della durata di almeno 120 ore ogni anno (la Scuola ha attivato diverse Convenzioni con ASL e Istituti Riabilitativi accreditati).
Si accede al Corso avendo superato due colloqui di valutazione preliminare effettuati con due diverse didatte della Scuola
Requisiti:
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Laurea in Psicologia o in Medicina;
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Abilitazione alla professione e iscrizione all’Albo.
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Avvio di una psicoanalisi personale con frequenza almeno trisettimanale
A conclusione del Corso, superati gli esami e le prove previste per la qualifica (presentazione di relazioni su casi seguiti in psicoterapia), si riceve il Diploma di Specializzazione, equipollente alla Scuola di Specializzazione Universitaria (ai sensi del comma 3 art. 2 della Legge n° 401/2000).
Note:
nota 1: Veltroni - “I bambini sanno. Fotografia dell'Italia attraverso i racconti dei bambini”, prod. SKY distr. BIM Film, 2015
nota 2: Tortora - “La gabbia d'oro. Ricerca teoretica e tradizione filosofica.”, Istituto Italiano per gli Studi Filosofici
nota 3: Per la storia della Tavistock è stato utilizzato il sito internet del “The Tavistock and Portman - NHS Foundation Trust”
http://tavistockandportman.uk/about-us/what-foundation-trust/history http://tavistockandportman.uk/sites/default/files/files/Our%20history_0.pdf
nota 4: “All'inizio in questi Centri operavano tre figure professionali: psichiatra, psicopedagogista e assistente sociale psichiatrico. Generalmente era lo psichiatra ad occuparsi del problema emotivo del bambino, mentre lo psicologo si interessava di più all’aspetto scolastico e l’assistente sociale era competente per le dinamiche psicologiche tra i membri delle famiglie”
nota 5: Bion R. “Esperienze nei gruppi”, Armando, Roma 1971
nota 6: Fiorani “Giovanni Bollea (1913-2011).Per una storia della neuropsichiatria infantile in Italia”, in Medicina & Storia, XI, 2011, 21-22
nota 7: Pontecorvo (a cura di), “Esperienze di psicoterapia infantile: il modello Tavistock”,Martinelli & C., 1986, Firenze
nota 8: http://www.emsf.rai.it/interviste/interviste.asp?d=252
nota 9: A. Lucariello, M. Peluso “Prospettive sull’Osservazione”, Borla, Roma, 2009
nota 10: http://www.emsf.rai.it/Aforismi/aforismi.asp?d=303#links
nota 11: “intendo dire la Capacità Negativa e cioè quando un uomo è capace di stare nell’incertezza, nel mistero, nel dubbio senza l’impazienza di correre dietro ai fatti e alla ragione” J.KEATS, in Lettere sulla poesia, Oscar Mondatori, Milano, 2005
18/06/2019